giovedì 28 marzo 2013

Omelia dell'Arcivescovo nella Messa del Crisma

 
Cattedrale di Udine, 28 marzo 2013
 
 
Eccellenza, cari sacerdoti, diaconi, seminaristi, consacrate/i, fedeli tutti, cari p. Iustianian e p. Vlodimir,
dopo aver ascoltato la proclamazione della Parola di Dio ci fermiamo per qualche minuto di riflessione che si trasformi poi in preghiera personale e comunitaria.

Penso che tutti partecipiamo alla S. Messa del Crisma di quest’anno portando nella mente e nel cuore alcuni eventi che abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questi mesi. Ne ricordo tre che sono, per certi aspetti, straordinari: l’Anno della fede, la successione del ministero petrino da Benedetto XVI a Papa Francesco e il perdurare della crisi economica e politica. Richiamo questi avvenimenti perché entrino anch'essi nella celebrazione eucaristica che il Signore Gesù ci da la grazia di condividere.

Ripensando all’Anno della fede mi è venuta subito in mente l’invocazione del Canone romano: “Ricordati, Signore, dei tuoi fedeli che ci hanno preceduto nel segno della fede”. E tra questi fedeli, mi si sono presentati i volti e i nomi dei confratelli sacerdoti che dallo scorso Giovedì Santo non sono più tra di noi in questa vita terrena. Come ogni anno, li ricordo uno ad uno con fraterno affetto: d. Achille Castenetto, d. Edoardo Zuliani, d. Emilio Cencig, d. Gianfranco Dri, d. Mario Del Negro, d. Giuseppe Meneghini, d. Agostino Ferlizza, d. Arturo Del Bianco, d. Redento Bello, d. Agostino Orsaria e, infine, il caro d. Simone Vigutto che abbiamo salutato da appena qualche giorno. Ad essi aggiungiamo  con riconoscenza il diacono Aldo Felice.
 
Pur ricordandoli nelle diverse qualità e caratteristiche personali, mi sembra bello e significativo poter dire di tutti loro “che ci hanno preceduto nel segno della fede”. Ora stanno un passo più avanti di noi; sono oltre quel passo decisivo che porta dalla fede in Gesù alla visione del suo Volto glorioso. A turno anche ognuno di noi sarà condotto a fare quel passo nei tempi e nei modi che non dipendono da noi. Perché non ci sorprenda come un ladro di notte, è fondamentale arrivarci “nel segno della fede”; questa è l’unica speranza da coltivare, come ci testimonia S. Paolo che scrive a Timoteo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la mia fede” (4,7). Alle spalle abbiamo già tante battaglie combattute e non sappiamo quante ce ne riserverà ancora la Provvidenza; ma ci sarà più grande consolazione che giungere in fondo potendo fare questa confessione: “ho conservato la fede”, ho conservato la fede in Gesù. Una fede che, lungo gli anni, ha generato in noi un amore così unico e totale che ci permetterà, quando saremo davanti al suo Volto, di dirgli come Pietro: “Signore tu sai tutto, tu sai che ti amo”.

Per questa fede val la pena di vivere e val la pena di morire come ci richiama l’Anno della fede e come ci testimoniano i confratelli che nei mesi scorsi ci hanno preceduto “nel segno della fede”.  Essi sono passati dal “Mistero della fede”, che hanno quotidianamente rinnovato nella celebrazione eucaristica, alla piena ed eterna contemplazione e comunione in questo Mistero: Gesù, crocifisso per noi e risorto, nostra unica speranza, unica terra promessa in cui speriamo di entrare dopo averlo seguito “nel segno della fede”.

Di questa fede e non di altro noi siamo costituiti annunciatori e pubblici testimoni. Di questa fede hanno sete gli uomini del nostro tempo come, a mio parere, ha fatto capire il forte interesse che si è condensato attorno alla Chiesa cattolica in questi  mesi che hanno visto l’inattesa rinuncia di Benedetto XVI al ministero di Successore di Pietro e la nomina di Papa Francesco.

Dentro tutti i commenti che abbiamo ascoltato, si è colto un senso di sorpresa; la sorpresa che ci prende quando siamo davanti ad una inattesa novità. La Chiesa ha mostrato di aver in sé una misteriosa sorgente che gli permette di rinnovarsi e rivitalizzarsi, anche quando appare pesantemente appesantita dalle debolezze e miserie umane dei suoi membri, che Benedetto XVI aveva ripetutamente denunciato quasi con crudezza.
Proprio lui, che aveva visto lucidamente tante forme di peccato tra Vescovi, sacerdoti e consacrati, in uno dei suoi ultimi discorsi esclamò: “Ma la Chiesa è viva”.
E la Chiesa ha testimoniato di essere viva nella purezza di mente e di cuore di Benedetto XVI che per amore rinunziava al ministero petrino, nella prontezza dei Cardinali di ritrovare nella preghiera comune la sintonia con la volontà di Dio e, infine, nell’intelligente semplicità evangelica di Papa Francesco, che sta toccando tanti cuori.

Vedere questo, a mio parere, ha sorpreso credenti e non credenti perché tutti hanno intuito che simili risorse di rinnovamento non sono a misura umana. La Chiesa non ha persone e strutture migliori di altre istituzioni umane per poter rigenerarsi continuamente. In questo tempo essa ha, invece, testimoniato che nel profondo del suo cuore nasconde un Mistero: è il Mistero della sua fede. Grazie alla fede e alla preghiera di tanti suoi membri, spesso anonimi, essa tiene il cuore aperto a Colui che ha il potere di trasformare la miseria e debolezza, anche più estrema, in risurrezione; che può sempre soffiare il suo Spirito, come fece sugli apostoli chiusi nel cenacolo. E soffia Spirito “creatore” che spalanca i sepolcri e dona “un cuore nuovo ed uno spirito nuovo”.
Quando le persone avvertono questo Spirito nuovo nella Chiesa restano profondamente e gioiosamente sorpresi perché respirano una speranza che viene da Dio. E quanto bisogno di speranza hanno oggi gli uomini!

Preghiamo in questa S. Messa del Crisma, perché lo Spirito Santo, che invocheremo sugli oli e sul pane e vino nella consacrazione, soffi potente anche dentro la nostra Chiesa di Udine, nei Vescovi, nei presbiteri, nei diaconi, nelle consacrate e consacrati, in tanti laici
Con umiltà chiediamo che lo Spirito rinnovi i nostri cuori freddi o tiepidi con il calore dell’Amore del Cuore di Gesù. Questo sia il nostro primo programma pastorale che diffonderà speranza in Friuli.

Segno di questa speranza sia, anche, un rinnovato impegno di solidarietà fraterna con le sorelle e i fratelli maggiormente schiacciati dalla crisi di lavoro e di mezzi economici che sta provando anche la nostra Diocesi. Abbiamo già messo in atto iniziative sia spontanee che organizzate, ma forse non basteranno. Mi sembra di intuire che Gesù ci invita ad avere sempre nuova fantasia nella carità per accorgerci, come il buon samaritano, dei più poveri che stanno accanto a noi e non hanno più forze per riprendere il cammino. Prenderci per mano e condividere quanto abbiamo è testimonianza convincente che viviamo “nel segno della fede”.

Invochiamo ora il dono di questa fede, che diffonde speranza e apre alla carità, sia professando il simbolo, sia rinnovando le promesse sacerdotali e pregando gli uni per gli altri, secondo l’esempio che subito ci ha dato Papa Francesco.
 


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